(Recensione) Ozark. Serie Netflix. Confermata la terza stagione

Bisogna avere un certo gusto per quel tipo di crime alla Fargo di Noha Hawley condito con un po’ di savoir fair alla Walter White per poter apprezzare fino in fondo Ozark, prodotta da Media Rights Capital (House of Cards, Babel), creata da Bill Dubuque (The Accountant e The Judge) e Mark Williams e distribuita da Netflix.

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Ed è proprio di queste ultimissime ore la notizia che proprio Netflix ha rinnovato la serie per una terza stagione. E’ ufficiale dunque!!! Dopo il twist finale della seconda stagione, Marty (Jason Bateman) e Wendy Byrde (Laura Linney) torneranno sui nostri schermi probabilmente addirittura nel 2019.

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Per chi non avesse mai visto Ozark, per chi la conoscesse solo per averla vista scorrere sulle proprie list di Netflix vi faccio un brevissimo riassunto.

Marty Byrde è un consulente finanziario e vive a Chicago. Il suo collega e socio  Bruce Lydell ruba 8 milioni di dollari al cartello della droga messicano e per questo viene brutalmente ucciso. Ecco che Byrde si ritrova incastrato in un patto a doppio nodo con il suddetto cartello e si ritrova, dal giorno alla notte, a svolgere la sua seconda vita come money launderer negli sperduti e suggestivi meandri del Missouri, in una località turistica chiamata Ozark.

Ozark non è nè una brutta nè una bella copia di altro. Si è conquistata la sua coccarda di crime story originale sin dalla prima puntata della prima stagione. E proprio  sin dal pilot è risultata evidente la cifra distintiva di questa produzione: Ozark non cade mai nel grottesco, nell’esagerazione, nell’absurd se si vuole. E’ poco romanzata, molto verosimile ma senza essere mai retorica.

Ha il pregio di godere del talento indiscusso di un caratterista come Jason Bateman il quale ha anche diretto i primi due episodi della prima e della seconda stagione e gli ultimi due episodi della prima stagione.

Bateman/Byrde attraversa una metamorfosi nel corso degli episodi, una metamorfosi che non può definirsi solo in relazione al suo personaggio ma anche mimica e attoriale, degna di grandi attori. Dall’inizio alla fine le proporzioni con cui fa capolino il Byrde intimorito o il Byrde sangue freddo si capovolgono vertiginosamente. Allo stesso modo sua moglie Wendy e i figli subiscono questa trasformazione in crime partner. Lo diventano per forza di cose all’inizio, si accomodano nelle loro nuove vite con una naturalezza fisiologica allo spirito di sopravvivenza. Ad un certo punto sembrano prenderci gusto, ma non si divertono affatto. La trasformazione è completa. C’è un solo modo per sopravvivere negli Ozark ed è mangiare o essere mangiati, pensare in grande e agire in grande.

Ozark non si perde nel plot di una normalissima crime story nè si regge solo sulle vicende dell famiglia Byrde ma propone una solida compattezza narrativa anche quando arriva a dover caratterizzare tutti gli altri membri del “mondo Ozark”.

Tutti i personaggi hanno uno spessore tale da solleticare ipotetici spin off.
Gli Snell, il reverendo Mason, Ruth Langmore, Buddy, Rachel e Roy Petty. Ognuno di loro non gravita solo intorno alla famiglia Byrde ma porta nel plot la profondità dei loro vissuti personali dando all’intero quadro complessità e completezza.

Notevole è la profondità del personaggio Roy Petty, interpretato da Jason Butler Harner, che investiga sulle vicende della famiglia Byrde. Non di meno è la raffigurazione generale di tutti i personaggi femminili che in Ozark non orbitano attorno alle rispettive figure maschili di riferimento ma di fatto conducono i giochi. Tutto l’universo femminile sovrasta il quadro generale. Il tema della maternità è preponderante e tutte sono sfaccettate nelle mille sfumature dei loro ruoli.

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Ozark è, nonostante i ricorrenti paragoni a Breaking Bad , con cui condivide solo la linea narrativa di premessa, una serie originale. Diffusamente associata a Bloodline (che mi riservo di guardare al più presto) non è, a mio modestissimo parere, lontanissima da Fargo la quale resta comunque nella mia top 3 delle serie di sempre.

Fargo esibisce virtuosisimi stilistici che sono propri di un progetto narrativo molto più ampio e intricato. In tal senso sono imparagonabili. Ma è innegabile l’associazione tra il tipo di focalizzazione geografica di Fargo e di Ozark. In entrambi i casi e rispettivamente hanno una forte se non portante definizione geografica che si riflette nella narrazione di due precisi luoghi del territorio statunitense. I titoli non sono casuali e riflettono probabilmente il proposito artistico di rafforzare l’impianto narrativo per mezzo della scelta di un ambientazione reale e perfettamente definita. Entrambe vantano connotazioni regionalistiche che se possono essere o meno coincidenti alla realtà nei minimi particolari, di certo hanno il vantaggio di incidere sull’intero risultato con un peso specifico non indifferente.

Che dire se non che Ozark non è una di quelle serie che è facile incasellare asetticamente nel genere crime e che da tale definizione può uscirne solo impoverita.
Merita di essere guardata tutta d’un fiato, preferibilmente in lingua per godersi fino in fondo le caratterizzazioni dei personaggi.

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